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Delirio per personaggi veri e situazioni finte
di Sebastiano Di Marco
con  Domenico Chilà, Valentina De Grazia, Mimmo Fiore Jessica Granato, Cristina Merenda, Gaetano Tramontana
e la partecipazione di: Lorenzo Praticò in video Giuseppe Flaviano in voce
scene di Aldo Zucco
collaborazione all’allestimento: Marilena Barreca, Giuseppe Pitasi, Francesca Raffa
video e editing: Antonio Melasi
aiuto regia: Domenica R. Buda
adattamento e regia: Gaetano Tramontana
una produzione: Circolo del Cinema Charlie Chaplin, Circolo del Cinema Cesare Zavattini, Città del Sole Edizioni, Associazione Culturale SpazioTeatro

L’autore e il testo
Sebastiano Di Marco fu uno degli intellettuali più attivi e militanti a Reggio Calabria tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta.
Insegnante e autentico animatore culturale, fonda nel 1968 (data non casuale) il Circolo del Cinema Charlie Chaplin, a tutt’oggi tra i sodalizi più longevi della città.
Scoccati, nel 2008, i vent’anni dalla sua scomparsa, il “Chaplin”, il Circolo del Cinema Cesare Zavattini e Città del Sole Edizioni, organizzano una serie d’iniziative per ricordarne la figura.
Tra queste, la messa in scena di un testo teatrale composto da Di Marco negli ultimi anni, dal titolo curioso: LSD, come la sostanza allucinogena che negli anni Sessanta accompagnò la rivoluzione culturale e la trasgressione creativa, sociale e sessuale dei giovani; ma non solo.
Il titolo infatti è anche l’acronimo (con una piccola evidente forzatura) di Liceo Scientifico Davinci (Da Vinci, Leonardo), l’istituto reggino in cui Di Marco insegnava inglese, che diventa l’ambientazione di una storia ironica e paradossale il cui fine altro non è che parodiare alcuni meccanismi scolastici attraverso l’osservazione “dall’interno” del corpo docente del tempo, amplificandone i vizi e le virtù.
Il testo originale, inedito fino ad oggi (per l’occasione del ventennale pubblicato da Città del Sole Edizioni), è infatti dall’autore “dedicato ai miei colleghi coi quali mi scuso per questa follia”.
Il guizzo creativo di Di Marco ne fa un testo godibile anche a chi non ha conosciuto i personaggi reali descritti; così che gli organizzatori della manifestazione, insieme alla famiglia Di Marco, hanno pensato che fosse venuto il momento di metterlo in scena, affidandone a SpazioTeatro l’allestimento.

La storia
In un Liceo reggino moderno e pienamente efficiente, assistiamo ai riti quotidiani che ne cristallizzano la perfezione formale e sostanziale: il corpo dei bidelli intento all’alba ad una puntigliosa revisione delle strutture, l’ispezione quotidiana dell’inflessibile e zelante Preside, la riunione per programmare le gite scolastiche ecc.
Ma nel mezzo di questa rituale routine scoppia l’imprevisto: in uno degli asettici bagni della scuola vengono ritrovate misteriose scritte anonime, interi poemi giocosi che frustano le abitudini e lo scorrere della vita all’interno dell’istituto.
Non può che essere un alunno impertinente, colto ma inaccettabilmente provocatorio!
Si cerca di non far trapelare la notizia, ma quando le scritte appaiono sempre più invadenti e con cadenza settimanale l’allarme cresce; scattano così le indagini da parte del corpo docente guidato dal Preside, che con alterno spirito di osservazione arriverà, suo malgrado, alla scoperta della verità.

Presentazione e note di regia
Quando Sebastiano Di Marco riuniva alcuni dei suoi colleghi docenti – gli Amici del Cerchio Rosso – per un reading privato di questo suo divertissement, era la metà degli anni Ottanta.
Un’era pre-cellulari, pre-dvd e con personal computer che oggi sarebbero antiquariato; per non parlare del web, una cosa che in Italia a quei tempi pochi sapevano cosa fosse, pochissimi avevano, ancor meno sapevano usare italianizzando il mezzo col nome di internèt.

La privacy, non ancora minacciata dalla rete globale, non era questo totem nel nome del quale oggi si consente e si vieta di tutto; saremmo quindi curiosi di conoscere la reazione dei vari Quattrone, Menichini, Pezzimenti, Longo, Scordino, Scopelliti (alcuni dei tanti professori che appaiono nello scritto originale di Di Marco) a questa “goliardata” del loro collega che metteva in burla i riti e le manie di un intero corpo docente: quello del Liceo Scientifico Da Vinci, dove Di Marco insegnava inglese, ma che potrebbe naturalmente appartenere a qualsiasi altro Liceo o scuola superiore.

Sin dal titolo – “LSD”, acronimo di Liceo Scientifico Davinci ma che si rifà alle esperienze allucinogene degli anni Sessanta e della contestazione – il fine dissacratorio è chiaro, come lo è il riferimento a persone e fatti niente affatto casuale.
E la dimensione allucinatoria non sta solo nel titolo, ma si avverte sin da subito nelle situazioni, nei paradossi, nelle citazioni cinematografiche, nei dialoghi improbabili, nella maldestra indagine poliziesca che impegna i protagonisti… fino al finale che mescola le carte con realismo e autobiografia.

La motivazione con cui l’autore ha scritto LSD è proprio quanto lo rende oggi di complessa traduzione scenica: i riferimenti ad individui precisi e conosciuti, con i loro tic e le loro debolezze, il non detto che si fa allusione da cogliere fra chi con quegli individui ha frequentazione quotidiana, tutto questo fa di LSD un “testo per affiliati”.
Inoltre, a più di 20 anni di distanza, alcuni dei protagonisti purtroppo non ci sono più, altri non amano farsi riconoscere, altri ancora cadono dalle nuvole a sentire nominare lo scritto (probabilmente non erano tra gli invitati ai reading!).
Resta però lo sguardo di Di Marco sul suo mondo (uno dei suoi mondi – la scuola – insieme al cinema, alla politica, alla letteratura…), ed è uno sguardo, a nostro avviso, di grande affetto, di comprensione per i limiti umani e strutturali della scuola moderna, come fosse una vecchia compagna di strada brontolona e un po’ incapace, da sfottere affettuosamente alla prima occasione possibile, senza la quale però, la vita sarebbe molto meno interessante.

Il lavoro registico è partito da questo sguardo “affettuoso” per spostarsi alla caratterizzazione dei personaggi: dei circa 30 professori citati nel testo si è cercato di cogliere i tratti più marcati e universali, sacrificando il dato biografico reale ma esaltandone la tipizzazione, sommando così i vari caratteri su 9 personaggi (oltre l’apparizione dei bidelli).
Il paradosso disegnato da Di Marco di una scuola perfetta per istruzione, cultura, civismo e, non ultime, infrastrutture e mezzi didattici, sopravvive nei dialoghi e nei “sacri riti” del corpo docente.
La scuola di LSD è una scuola perfetta – un sogno irraggiungibile per  la scuola italiana di tutti i tempi – ma che i suoi “abitanti” vorrebbero ancora più efficiente, senza accorgersi che tale efficienza sacrifica il calore, l’umanità e persino la lucidità di chi ci lavora; gli allievi peraltro non appaiono, sono entità astratte, riferimenti sempre positivi ma spesso allo stesso livello di regolamenti e circolari.
E’ in questa fredda perfezione che esplode fragorosa la poesia, la passione civile e intellettuale, con i mezzi della clandestinità e della sedizione. E tutto l’apparato efficiente dell’istituzione si sbriciola, si rivela un gigante macchinoso e incapace di vedere al di là del proprio naso.
Il sogno allora si mescola alla realtà, la scrittura si fa strumento lenitivo alle quotidiane fatiche e il finale diventa un saluto da parte di chi già vede le cose del mondo da un punto di vista molto molto lontano.